Arrivo a Torino.

Lo aspetto in Club House e, a differenza di altre interviste, sono agitato. Sento dei saluti amichevoli avvicinarsi: “Ciao Dodo”. E si presenta Edoardo Molinari.

Scatto in piedi come ad incrociare un ufficiale in fureria, e percepisco serietà e rigore nella sua formazione. L’educazione penso io. Ed entro subito nel merito. Gli chiedo del golf, di uno sport che amo profondamente, ma a modo mio, come lo si può amare approcciandolo (termine fu mai così azzeccato) a 35 anni. “Il golf, così come lo sci e il tennis per fare un esempio più ampio, è uno sport individuale. Non esiste un arbitro, sei solo. A differenza di quello che accade negli sport di gruppo, non puoi neanche un minuto mascherare una tua manchevolezza, un momento debole. Questo ti insegna a contare solo sulle tue forze, a responsabilizzarti, a cercare di superare i tuoi limiti.”

Nel golf sei solo. Questo ti insegna a contare solo sulle tue forze, a responsabilizzarti, a cercare di superare i tuoi limiti.

Lo capisco. Infatti se lo sport in genere si può considerare una metafora di vita, il golf ne è l’esasperazione per antonomasia. Gli chiedo del talento. Sono li per quello. Per lui conta il 10%. Tutto il resto è lavoro costante. Ma nella sua visione, non ha messo in considerazione la dose fondamentale da aggiungere alla pozione del successo: la fortuna. Infatti nel 2014 i problemi al polso, l’operazione, la riabilitazione, non gli hanno permesso di continuare una carriera che a tratti notevole.

Non è il suo caso ovviamente, ma su questo punto, credo ci sia un numero sostanziale di persone che hanno la lucidità di capire che impegno e costanza possono sopperire anche ad un talento debole, o, addirittura ad una mancanza di talento (ma forza, costanza e determinazione, alla fine, non possono essere considerati una forma di talento?). Con questo sorridente dilemma non resisto dal chiedergli un autografo sulla mia sacca che casualmente, con un pennarello bianco, mi hanno accompagnato per le quattro ore di viaggio.

Così, quando adesso qualcuno mi chiede di chi sia l’autografo, rispondo: “Molinari”. “Francesco?”. E fieramente specifico: “No. Il fratello”.